FAENZA, Venerdì 15 giugno 2007

martedì 10 Luglio , ore 11:00 | Il Lavatoio

Ilir. Gli albanesi si occupano dei pomodori

Gjergji Tushaj / Fabio Piliego | Parma

di e con Gjergji Tushaj e Andrea Bovaia
regia Gjergij Tushaj e Andrea Bovaia

Andrea Bovaia (responsabile tecnico)
cell. 349.6853116
Gjergji Tushaj
gerghji@yahoo.it

Segnalazione speciale Premio Scenario 2007

Motivazione della Giuria

per l’intensità di un racconto a due voci che fa a meno del teatro e della sua convenzionalità a volte ipertrofica esaltando l’efficacia della presenza, in un gioco di rispecchiamenti fatto di sguardi e silenzi, immobilità e accensioni, complicità e sfida, dove i giovani attori dimostrano di padroneggiare tempi e ritmi teatrali attraverso una scrittura di scena che prescinde dalle consuetudini per approfondire la potenza del dettaglio e le geometrie dello spazio vuoto.

Ilir. Gli albanesi si occupano dei pomodori

Me lo sono studiato da solo di non tornare in Albania. Ho 14 anni, siamo partiti con mia madre da Reshen (nord Albania), dopo che mia nonna è morta. Mia nonna faceva tutto e non era mai sporca. Mio nonno mi ha insegnato a sparare alle volpi che attaccavano le nostre galline. Adesso mio nonno è da solo, non vuole nessuno. Siamo partiti per la Germania, ma io non voglio stare in Germania e non voglio tornare in Albania. Voglio andare in Svizzera. In Svizzera si vive bene. Siamo venuti a trovare degli amici di mio padre, a mio padre l’ho detto che volevo andare via, lui era contento, forse combinavo troppi guai e così, se io me ne andavo, tutto era più semplice. Mia madre non era contenta, non voleva. Ma io ho preso il treno, e sono partito. Sono arrivato a Berna dove ho degli amici, ma lì non potevo stare. Tanto prima o poi andrò a vivere in Svizzera, non quella francese. Non voglio tornare in Albania, non voglio tornare in Albania. Vado in Italia, a Piacenza. Dell’Italia conosco Roma, Milano e Piacenza. […] Ho il biglietto per Piacenza, lì mi aspetta Bepin che è cresciuto con me, ora lo chiamano Beppe o Giuseppe.
Starò bene a Piacenza, fino a quando non potrò andare in Svizzera. Sono sul treno, mi addormento, sogno che mia nonna è ancora viva e mi dice che in Svizzera si vive proprio bene, tutti quegli orologi dorati, e che anche lei vuole venire con me a Piacenza per poi andare in Svizzera, mia nonna è come sempre con le treccine legate intorno alla testa e il grembiule nero, tutti volevano bene a mia nonna, e anche io.
Mi sveglio, il treno è fermo, guardo fuori dal finestrino, sul cartello c’è scritto Fi…FI..DENZA.
Chiedo Piacenza? Dell’italiano capisco due parole su dieci, se me ne dicono 100 io ne capisco 20.
Capisco che Piacenza è già passata. Il controllore mi porta alla polizia […] Ho passato due settimane con una paura. Non sapevo che ero a Parma. Poi mi sono ritrovato in una comunità a guardare film. Tutto serve a qualche cosa. Tutti servono a qualche cosa.

Gjergji Tushaj
Ciao a tutti, noi non ci conosciamo, perciò meglio conoscerci.
Io sono Gjergji Tushaj. È il nome più vecchio del mio paese. Tradotto sarebbe Giorgio. Sono nato il 24 febbraio 1988 a Rubik, nel nord dell’Albania, in una zona chiamata Mirdita, che vuol dire buongiorno.
Il nostro popolo si chiamava ilir, che vuol dire libero.
Mi piace il cinema. In comunità ho la mia stanza. È disordinata e c’è Il Padrino dappertutto. Nella mia videoteca ho 512 film, più i film che ho preso al BlockBuster, più quelli in tv, ho visto più di 2000 film.
Mi piace fare teatro. Il teatro è puro. È una cosa antica. Quando vedo uno spettacolo o quando sono davanti ad un pubblico mi emoziono. È come se provassi un’emozione d’amore. Voglio raccontare la mia storia, perché è una storia che è successa, un po’ complicata. Come un fumetto senza fine. […] Scrivo prima da solo, e poi mi faccio aiutare da Fabio, un ex operatore della comunità che mi conosce bene, per scrivere al computer. Provo nella mia stanza e mi riprendo con una videocamera. Poi riguardo tutto e decido. A volte penso di aver capito tutto, poi dopo un po’ di tempo, vado a riguardare e mi accorgo che non avevo capito niente. Mi piace così. È l’imperfezione.
Poi è arrivato Andrea. Un giorno ho chiesto ad Andrea, che ho conosciuto un po’ di tempo fa in un laboratorio di teatro, di venire a vedere che cosa facevo. Gli è piaciuto e si è fermato.