PROGETTO TRIENNALE SANTARCANGELO 2009-2011, 19/20/21 giugno 2009

sabato 20 Giugno , ore 11:00 | Il Lavatoio

Quando saremo GRANDI!

LAFABBRICA | Roma
foto Emanuela Bongiovanni

con Simone Barraco
Matteo Latino
Ramona Nardò
costumi Cecilia Blixt
trucco Erika Turella
disegno luci Hossein Taheri
regista assistente Giada Parlanti
assistente alla regia Emanuela Lumare
foto di scena Emanuela Bongiovanni
regia Fabiana Iacozzilli

LA FABBRICA
referente: Fabiana Iacozzilli
via di Boccea, 344 – 00167 Roma
cell. 338 3665303
tel. 06 64463216
ass.lafabbrica@gmail.com
iaco1.f@libero.it

lo spettacolo

Quel topo morirà se non lo ammazzo.
Samuel Beckett

La campanella è suonata.
Tre piccole sedie al centro della scena.
Tre linee che dalla panchina portano a tre attaccapanni.
Sugli attaccapanni tre cartelle di scuola.
Seduti sulle sedie troviamo tre bambini decrepiti che attendono che la mamma li venga a prendere. L’attendono con tutta la loro forza, con la speranza e l’innocenza di bambini sicuri che non potranno mai essere abbandonati da colei che li ama sopra ogni cosa.
Tre fratelli che attendono da una vita.
È in ritardo?
Li ha messi in punizione?
O forse più semplicemente li ha dimenticati?
Così come si dimentica un pacco, come si dimentica qualcosa in frigo che poi inizia a puzzare, come si dimentica una persona morta che abbiamo tanto amato… come si dimentica tutto.
Poche certezze per i vecchi bambini: non si devono allontanare, non devono parlare con gli sconosciuti, non devono accettare caramelle da nessuno, non devono fare un passo in avanti, perché davanti c’è il vuoto, l’ignoto, la paura di perdersi, la solitudine, davanti c’è il futuro che li attende. Tre percorsi che diventano metafora della condizione umana.
La loro vita piena di speranza si riduce a una linea che percorrono solo per andare indietro, per andare a fare quello che la madre ha detto loro, andare alla cartella.
Queste tre incarognite e vecchie creature non agiscono e guardano il mondo credendo di poterlo possedere, ma avendone una paura più grande di loro. Una paura che li spingerà a un salto nel vuoto. Il vuoto è naturalmente rappresentato dallo spazio simbolico antistante la panchina. I tre fratelli, come fossero tre anime di un moderno Krapp, si giocheranno questa ultima partita che li condurrà verso la fine.

La compagnia

Il gruppo teatrale LAFABBRICA nasce nel 2002 dall’incontro di Elisa Bongiovanni, Fabiana Iacozzilli e Giada Parlanti durante il triennio di studi al Centro Internazionale La Cometa. Qui studiano con registi e maestri appartenenti alla scena internazionale quali Natalia Zvereva, Nikolaj Karpov, Alan Woodhouse, Natalia Orekhova. Questi incontri le fanno confrontare con la realtà che maggiormente esplorano: il conflitto tra il pensiero e l’azione. Insieme realizzano: Malwen (2004, patrocinato da Amnesty International); Aspettando Nil (2005, vincitore Palio poetico musicale Ermo Colle; segnalazione speciale Festival di drammaturgia Faranume; primo premio Le Voci dell’anima; menzione speciale Giuria Giovani New Contaminate Art Festival); Giochi di famiglia (2005, progetto di pedagogia con gli allievi diplomati presso il Centro Internazionale La Cometa); Assenzio o il vizio dell’amore (2006, Festival Don Giovanni e i suoi fratelli, presso I cantieri, Università di Messina); Io non ho altra mira che vivere… (Povero me!) (Tappa di Selezione del Premio Scenario 2007); Rapacità (2007, vincitore del bando di concorso Estate Romana); Hamlet Circus (2008, vincitore Festival Premio Teatro, Aversa).
Le linee di lavoro della compagnia partono dal presupposto che, se il teatro ha una funzione, è quella di rendere la realtà impossibile. Non ci interessa la riproduzione della realtà sulla scena, ci interessa al contrario difendere la scena dalla realtà, portare in scena un’altra dimensione, un altro spazio, un altro tempo. Nell’ottenere questa distanza dalla realtà, c’è una sorta di godimento, un vero e proprio divertimento: si tratta di togliere gli spettatori dalla realtà in cui vivono per fargliene vedere un’altra. Riso e pianto possono ottenere questo effetto: instaurare un altro rapporto con il vissuto. Per fare questo noi siamo interessate a mettere l’attore al centro della scena, metterlo in una situazione di “pericolo” e costruire una realtà a partire da lui. L’attore e la sua sensibilità sono il nostro materiale. La possibilità espressiva diviene per lui una questione di vita o di morte. Mai delegare, mai lasciare il ring, tentare fino alla fine di arrivare a una proposta utilizzando se stessi, la propria relazione con lo spazio, con il tempo, con il compagno, con il divino che si respira nell’atto teatrale.